Sin da bambine, abbiamo imparato a considerare Cenerentola la summa di ogni virtù: modesta, laboriosa, e soprattutto leggiadra e bella. Le sorellastre, invece… Con questo piccolo libro, edito da Einaudi in digitale nella collana “Quanti”, Ilaria Gaspari rovescia la prospettiva: e se a soffrire non fosse stata la vessata – ma poi prescelta – Cenerentola, bensì le sue sorellastre, dotate dalla natura di atteggiamenti sgraziati e piedoni a prova di scarpetta di cristallo? Accecati dall’influenza della letteratura classica e dal suo ideale di perfezione insieme fisica e morale (quella kalokagathìa che in fondo tutti ricerchiamo), potremmo aver dimenticato che è molto più facile avere qualche difetto che possedere il fascino fiabesco delle principesse. Che è un po’ lo stesso dei fiori, abili seduttori con i loro petali colorati, senza per questo fare alcuna fatica: sono nati così.
Invece, per la maggior parte di noi, la bellezza è ricerca, passione (nel senso di “patimento”), sacrificio. Non fa eccezione l’autrice di questo libro, che, trovatasi nell’eventualità di dover farsi una fototessera – l’antesignana dei selfie – si rende conto, durante gli scatti, di non poter tollerare la propria immagine così frettolosamente immortalata: “Non volevo essere io, non potevo essere io, la faccia nella fotografia”. Ilaria è bella, ma non si sente mai tale; decide allora di ripercorrere, condividendolo con noi, il suo percorso di vita alla ricerca della bellezza, e in fondo della felicità, perché le due cose spesso vanno di pari passo. E lo fa scegliendo di seguire “la via della vergogna”, sentimento che, mettendo in imbarazzo, riesce a estrarre i ricordi dalla memoria con maggior accuratezza. Ecco infatti il primo flashback: la mitica pelliccetta rosa dei tre anni (già citata in Vita segreta delle emozioni, 2021), capo inseparabile in casa, pure con il riscaldamento. E le “minigonne” per l’asilo, indossate con occhiali rosa a cuore; che però, lungi dal far vedere la vita in stile Pollyanna, servono solo a compensare il dramma di essere stata scambiata, per strada, per un maschio, complice un taglio corto di ricci ‘alla Ninetto Davoli’.
I traumi infantili sono i più duri a guarire e l’Ilaria bambina e preadolescente trascina con sé l’onta della zazzera alla maschietta, prima ‘allungando’ i riccioli con una sottogonna rossa e poi cercando sollievo nel più femminile degli sport, la danza, anche se la domenica sera la mamma le calca in testa una cuffietta per regolare il taglio alla Fantaghirò, e la nonna la porta dal parrucchiere all’indomani del saggio sulle punte. Appare chiaro, e ciascuna di noi donne lo può confermare, il ruolo delle figure adulte di accudimento nell’alimentare complessi che dureranno tutta la vita. Il gioco va di pari passo con la vana ricerca di un’ideale di bellezza irraggiungibile: il modello è una californiana a cavallo, in tutina rosa e cascata di capelli biondi sulle spalle; si chiama Barbie e la vogliono tutte, ma nessuna può essere come lei. Ma perché, si chiede Ilaria Gaspari in più punti del libro, “Perché volevo essere bella? Perché dovevo essere bella? E poi: cosa vuol dire, alla fine, essere bella?” La risposta c’è, e non è una sola.
Vogliamo essere belle per essere amate, anche quando già lo siamo moltissimo.
Vogliamo apparire belle perché è un valore che può garantirci “una promessa di salvezza. Una forma di grazia”. Se siamo belle, tutto sarà più facile, più emozionante, ci si apriranno più possibilità.
È così davvero, o non staremo passando le nostre vite a inseguire un obiettivo che, mentre cerchiamo di raggiungerlo, ci rende meno piacevole il percorso? Se non fossimo così impegnate a renderci più gradevoli esteticamente, non avremmo per caso qualche gioia in più, se non altro quella di poterci rilassare?
In questo libro breve sono concentrati alcuni grandi interrogativi dell’umanità, o almeno della sua metà al femminile. E nelle insicurezze di Ilaria ragazza, e un po’ anche adulta, ci possiamo riconoscere tutte (e forse tutti). Schiave e schiavi del culto del bello, sudditi del reame dell’immagine, abbiamo però, d’ora in avanti, una possibilità: “il nucleo antico di questa spinta”, scrive Ilaria Gaspari, “è quello che ci possiamo concedere, finalmente, di mettere in discussione; solo, però, se saremo capaci di vederlo, di smontarlo pezzo per pezzo. Potrebbe essere una liberazione”.
Cenerentole e sorellastre. Una botanica della bellezza, Ilaria Gaspari, “Quanti” n. 19, Einaudi, 2022, pp. 36.