Il canto del castrato

Il canto del castrato - GIovanna Mozzillo

Il canto del castrato
Giovanna Mozzillo
“Il Portico” n° 43, Marlin Editore, 2019
Pagg. 240, € 14,90

Giovanna Mozzillo, quando la si conosce, è una donna modernissima, anche se nei suoi romanzi descrive il passato. E fa bene. Perché, che sia quello autobiografico o familiare de Le alghe di Posillipo o La signorina e l’amore, che le sue trame siano ambientate nel Seicento, come in Lavinia e l’angelo custode, o nell’antica Roma, come nel recente Ritorno in Egitto, ce lo rende così vivo e palpitante, così ricco di colori, di suoni, di profumi e di odori, di emozioni e di passioni che quasi ci sembra di abitarlo. Non fa eccezione Il canto del castrato, che ritorna all’ambientazione seicentesca per proporci, con un linguaggio straordinariamente affine al sentire e al parlare dell’epoca, in una Napoli barocca dominata dall’arbitrio dei potenti e a tratti squassata dalla peste, due storie d’amore ‘impossibili’. Come impossibile si era rivelato, in Ritorno in Egitto, l’amore puro e carnale tra l’aristocratico Claudio e il suo concubino Ligdo.

In questo romanzo, le protagoniste sono due donne: Ippolita, che, sposa di un marito-padrone che la usa a suo piacimento senza riguardo per la sua femminilità, permettendole solo di sfornare figli, apre gradualmente il suo cuore alle sensibili attenzioni del precettore di famiglia, don Cosimo; e sua figlia Lucrezia, che si trova inaspettatamente coinvolta – e sconvolta – dal primo, vero, sentimento della sua vita dopo il casuale incontro-colpo di fulmine con il bel Federico, talentuoso cantante conosciuto come il Caffarello. Amori impossibili, certo, e non solo perché l’uno degli innamorati porta l’abito talare, e l’altro ha sacrificato una parte essenziale del suo corpo alla carriera canora; ma perché entrambi son di famiglia umile rispetto alle donne che desiderano, che sono invece di alto lignaggio. Ostacolo insormontabile per la società, non per loro: come spesso accade, omnia vincit amor e la passione riesce a sbocciare, dopo molte peripezie, in questo romanzo che Armida Parisi ha definito “eretico ed erotico”, e di fatto lo è. Non a caso, è all’eretico contemporaneo Giordano Bruno che va l’ammirazione del sacerdote Cosimo; ed è l’eros nel suo significato originario – forza di attrazione che unisce elementi diversi, talora in contrasto, senza annullarli – a pervadere le azioni degli innamorati, che si fondono corpo e anima tra loro con dedizione e rispetto, senza mai perdere la propria individualità.

Nella società dell’epoca, invece, il rispetto alle donne è negato, insieme ai loro più basilari diritti. Ce lo fa notare, l’autrice; ma le sue protagoniste son donne forti e di fronte agli abusi, alle violenze e ai soprusi del mondo maschile, alla forzata repressione delle loro personalità, alla mancanza di libertà, persino alla freddezza dei rapporti familiari, si scoprono in grado di agire e di reagire, fino alle estreme conseguenze. Il lettore attraversa con il fiato sospeso le vicende di Ippolita e Cosimo, Lucrezia e Federico, e i luoghi in cui si svolgono: la Napoli vicereale con i suoi contrasti sociali, le montagne rifugio dalla peste, il labirinto del palazzo del signor duca, luogo di perdizione, di perdita e di perdono. Finiscono tante vite in questo romanzo, ma solo perché è il ‘male necessario’ per poter continuare a vivere.

“Perché la vita è imbattibile: sebbene tanto precaria, non si lascia intimidire dall’orrore né arretra di fronte all’insondabilità del mistero, e, chi sa come, sempre ripiglia il suo cammino, e torna a incantarci, fervida, travolgente, trionfante”. Come la prosa di Giovanna Mozzillo.