Le alghe di Posillipo

Le alghe di Posillipo
Le alghe di Posillipo
Giovanna Mozzillo
Edizioni La Conchiglia, 2011
Pagg. 128, € 13

A distanza di quasi un ventennio dalla sua prima pubblicazione, esce di nuovo, per i tipi delle Edizioni La Conchiglia di Capri, Le alghe di Posillipo di Giovanna Mozzillo, autrice napoletana già nota per La signorina e l’amore (finalista al Premio Morante 2002), La vita come un gioco (finalista al Premio Melfi 2008) e molti altri romanzi. Ed è l’occasione per (ri)scoprire non solo la splendida prosa di questa scrittrice, ma anche una Napoli d’altri tempi che, almeno in parte, vive oggi solo nei ricordi. Se c’è un posto, però, che mantiene intatto il suo fascino come se il tempo non fosse trascorso questo è la collina di Posillipo; e proprio al suo fondale marino, “ammantato di verde alga trinata che sotto la spinta del mare ondeggiava lieve come erba al vento”, intitola il suo libro Giovanna Mozzillo.
Sono il mare e la natura, infatti, i protagonisti della prima parte del libro, che comincia con le passeggiate nei boschi, nei parchi, nella campagna di Gragnano, rifugio durante la guerra, e continua con le scorribande dell’autrice bambina (il libro è dichiaratamente autobiografico) nel magico mondo costituito da Villa Maisto a capo Posillipo:

“Sotto la masseria il sentiero si faceva scosceso. C’erano ancora terrazzi di pomidori, ma più stretti e dirupati, e olivi, e fichi d’India, e schieramenti di canne. Noi ne prelevavamo qualcuna: divenivano lance per le battaglie. […] E finalmente il mare! Ma, attenzione: non un unico mare, cioè una sola spiaggia, o una sola scogliera. Erano tante, diverse postazioni sul mare, ognuna con una sua fisionomia, ognuna con una sua potenzialità di gioco e di avventura.”

Avventura è, ad esempio, arrampicarsi con perizia sulle erte più franose degli scogli per stanare i granchietti dai loro anfratti o catturare con le mani i gamberetti rosa; ma anche, in villa comunale, volteggiare sui pattini senza travolgere balie e bambini, o sfidare correndo il ripidissimo canalone in Floridiana; o, tornando a casa da una passeggiata, vedere per la prima volta un lenzuolo di lino ricamato, sotto cui si cela, con le braccia conserte, un morto.
Accanto all’autrice, bambina vivacissima fisicamente e intellettualmente, la cui fervida fantasia viene sollecitata parimenti dalla mitologia teutonica come dai misteri che può celare una casa piena di mobili, quadri antichi e angoli segreti, sfilano una serie di figure di contorno, simboli di un’epoca: la bella e composta signora Volpicelli, amica della mamma; le tante zie e cugine in visita, con i lavori a maglia in borse di picchè; le amiche altoborghesi della zia, divise tra i tavolini di bridge e il ricordo degli antichi amori. E la vecchia Lia, in casa da sessant’anni, con i suoi “capelli bianchi, fini fini, raccolti in una treccia”, che racconta la storia della sua vita mentre impasta pizzelle al pomodoro.
Quello descritto da Giovanna Mozzillo è un affresco della Napoli (e dell’Italia) del dopoguerra, ma anche il ritratto di un mondo scomparso e spesso, nel ricordo, rimpianto. Alla fine della lettura, viene voglia di ricominciarla da capo, per rivivere ancora, con la forza e l’immediatezza delle parole dell’autrice, quelli che in fondo sono i ricordi d’infanzia di ciascuno: i tronchi carichi di nocelle, i torrenti fiancheggiati dal capelvenere, i giardini coltivati a piselli e violacciocche “brulicanti di lombrichi lunghi e grassi”, le ghiande delle querce sul lungomare, “coi loro cappellini ruvidi”. E, naturalmente, le alghe di Posillipo: “Fresche, fragranti, trasparenti. Deliziose che nulla più”.