Cuore nero

Cuore nero

Emilia di cognome fa Innocenti, ma nella sua vita l’innocenza è scomparsa troppo presto, creando una frattura insanabile tra il prima – un’adolescenza che per lei non è mai stata dorata – e il dopo, il buco nero in cui è caduta dopo che un evento drammatico ha segnato il suo destino. Autrice di quell’evento (che Silvia Avallone ci svelerà solo alla fine, lasciandone le tracce nel corso della lettura) è Emilia stessa, e il lettore sa, lo capisce, che non è uno di quegli eventi che si possano facilmente perdonare. Sembra essere il Perdono, infatti, e non il Male, il tema centrale di Cuore nero (Premio Elsa Morante 2024 per la Narrativa), ma il cammino per raggiungerlo è lungo, soprattutto dentro di sé, e fitto di ostacoli e di imprevisti.

È successo qualcosa di sconvolgente anche nel passato di Bruno, che vive da eremita a Sassaia, borgo di due anime sperduto tra le montagne di quella Valle Cervo già scenario o sfondo di altri romanzi di Silvia Avallone. I sentieri aspri che le auto non possono percorrere sono il posto giusto per nascondersi dalla gente e da se stessi; ed è per questo che Emilia Innocenti, colpevole, e Bruno Peraldo, innocente, lo scelgono, senza sapere che lì, trentenni, si troveranno. È fuoco e fiamme il loro incontro, passione che si accende e dolore che si nasconde, Paradiso e Inferno insieme, come la Madonna e il Giudizio universale che Emilia, laurea in Belle Arti e tesi su Hieronymus Bosch, restaura nella chiesa locale.

Ma il Male è veramente così pervasivo, o esiste un po’ di Bene laddove non ce lo aspetteremmo? Nel Convento, ad esempio, che di mistico ha solo il soprannome, e racchiude in forzata clausura le ragazze con cui Emilia ha diviso, dai 16 ai 31 anni, la sua vita. Hanno età simili e nazionalità diverse, ma tutte un cammino drammatico alle spalle, pur se non quanto quello di Emilia. Le ragazze condividono il sonno e i pasti, la musica a tutto volume nei corridoi dal clangore metallico, il campo di pallavolo; leader indiscussa Marta Vargas, figura elegante e carismatica che per Emilia è amica, sorella e porto sicuro in cui rifugiarsi. Tra le mura del carcere (nella realtà, Silvia Avallone ha portato la letteratura e i suoi romanzi tra le mura del minorile maschile di Bologna) il Male compiuto si stempera nell’affetto verso le compagne, nella solidarietà dei vestiti prestati, nella scherzosa complicità con cui si sublima il sesso, solo sognato, con il Dirimpettaio.

Prima o poi, però, si esce; non in permesso premio: per sempre. E la vita reale, dove la libertà è solo apparente finché non riesci a conquistartela davvero, è più difficile da affrontare dei percorsi tracciati della prigionia. Non è vero che dopo si va avanti. Dopo ci sono le conseguenze. Riuscirà Emilia, a Sassaia, a riconquistare l’adolescenza perduta, la prima volta in amore e in discoteca, la fiducia negli altri e il coraggio di essere se stessa? E, soprattutto, riuscirà a guardare in faccia il passato? Silvia Avallone lascia che i lettori lo scoprano lentamente; ed è bene così, perché possono godersi il viaggio tra le parole: quella prosa potente, sensuale ed evocativa che ha guadagnato all’autrice, sin dal suo esordio con Acciaio, un posto nell’Empireo degli scrittori.

Cuore nero, Silvia Avallone, “La scala”, Rizzoli, 2024, pp. 366.