“Caro Roger, ti scrivo soltanto per dirti che ti amo, nel caso te ne fossi già dimenticato al tuo arrivo a Londra”.
Inizia così il settimo dei ventuno romanzi di Elizabeth von Arnim, al secolo Mary Annette Beauchamp, scrittrice inglese nata in Australia, cugina di Katherine Mansfield. Ma non lasciatevi ingannare dal tono adorante delle prime pagine del libro: la protagonista, la 25enne tedesca Rose-Marie Schmidt, è Una donna indipendente, no? E lo dimostrerà, eccome, nel corso della narrazione. Che è in forma epistolare; in più, le lettere che compongono la storia sono solo quelle di Rose-Marie: possiamo intuire, dalle sue parole, le risposte del caro Roger, che in breve – complice il ritorno nella madrepatria e un nuovo interesse amoroso – diventa il meno familiare “Caro Mr. Anstruther”.
Rose-Marie, infatti, non è donna da sottostare ai volatili umori del genere maschile e, di fronte al fedifrago comportamento del caro Roger, che è per giunta di condizione sociale molto superiore alla sua ed è entrato in contatto con lei solo grazie alla necessità di trovarsi una stanza a pensione a Jena in Turingia, decide in fretta che sarà, per lui, una buona amica, quasi una sorella. Inizia così la ‘vera’ corrispondenza tra Rose-Marie e Mr. Anstruther, che, mentre non ci dice molto di lui, ci svela pian piano l’animo sfaccettato di Rose-Marie, i suoi legami familiari, il suo amore incondizionato per la Natura, la sua tendenza a filosofeggiare e, nello stesso tempo, a mettere in discussione i suoi stessi pensieri, le sue stesse affermazioni, le sue stesse azioni.
Rose-Marie affronta ogni giornata con entusiasmo, come se fosse l’ultima della sua vita; vive godendosi il presente e le gioie semplici del paesaggio, che siano il fiorire dei primi ranuncoli o le delicate linee di neve sui rami degli abeti. Non ha quasi niente, eppure non ha bisogno di niente; vive con l’anziano padre e la matrigna grazie a pochi marchi annuali, ma è felice quando il genitore porta a compimento uno dei suoi libri, sempre respinti dagli editori. Sana e robusta, passeggia nei boschi o scende in città, affrontando un’erta equivalente a quella che circonda la sua casetta rendendole arduo persino coltivare lattuga; all’occorrenza non si risparmia, ma è capace anche di prendersi momenti per sè, benefiche pause di riflessione. Mr. Anstruther è lo sfondo incolore della sua vita, il pretesto per raccontagli (e raccontarci) la quotidianità con un’osservazione così distaccata delle cose da permeare tutto il libro di una fresca ironia, a volte di un lieve sarcasmo.
Nelle lettere che Rose-Marie scrive leggiamo della vita del primo Novecento a Jena, con le sue tradizioni come la Messa domenicale, meno sacra dell’infornata dell’oca alla stessa ora; scopriamo la natura selvaggia e incantata della campagna tedesca; osserviamo la realtà con gli occhi a volte stupiti, a volte disillusi, della ragazza. Che, grazie al fatto di doversela cavare sempre da sola, è impermeabile agli eventi avversi della vita, resiliente, testarda fino allo sfinimento, suo e degli interlocutori. Affronta sotto la pioggia una camminata di chilometri nella campagna deserta solo per mantenere fede all’impegno di pregare per sua mamma nel giorno di Ognissanti; e se il prete non vorrebbe farla entrare niente paura: aspetterà. Aspetta, Rose-Marie, che le cose accadano. Agli altri. A lei, la sua vita va più che bene così com’è. E, se per caso il caro Mr. Anstruther si stesse facendo qualche illusione e pensasse di cambiarla, no: ad avere la peggio non sarà certamente lei.
Elizabeth von Arnim, Una donna indipendente, Bollati Boringhieri, n. ed. 2019, trad. di Simona Garavelli, pp. 298.