Il titolo, e gli occhioni della bimba in copertina, suggeriscono piacevoli sorprese. Ma prima di farcele scoprire l’Autore, in un lungo prologo, si presenta: ci parla di sè e di come sia venuto casualmente in contatto con il Libro.
Un viaggio Roma-Napoli per una conferenza mancata (a cui avrebbe dovuto partecipare insieme allo scrittore Franco Arminio: ricordate i suoi “esercizi di paesologia”?) si trasforma in un’occasione di incontro con un gruppo di signore letterate, ma soprattutto con un insolito manoscritto. Nel senso che è scritto davvero a mano, con la penna blu e una grafia infantile, sulle pagine di un quadernetto di scuola elementare, e non mancano le cancellature.
Qui inizia la critica letteraria sul Libro di Clara e Riki; il lettore, però, non resiste e corre incuriosito alla pagina 1 del manoscritto quadrettato, per conoscere subito i piccoli protagonisti.
Si trova così catapultato in una favola d’altri tempi, in cui i bimbi hanno un animo nobile e generoso, giocano all’aperto e ubbidiscono sempre alle mamme, che li abbracciano continuamente “con occhi pieni di amore” e gli preparano gradite minestre. A segnare l’atmosfera retrò contribuiscono i mezzi di trasporto: carrozze a cavalli, barchette a remi, un treno salutato come un prodigio tecnologico. Se a un adulto quel mondo appare irreale, per la piccola autrice del manoscritto è l’unica fantasia concepibile, ma anche una realtà desiderata, che probabilmente non rivivrà più.
Lo scopriamo tornando indietro di molte pagine, là dove avevamo lasciato Emanuele Trevi a commentare il Libro. Ora possiamo leggere quello che ci vuol dire l’Autore; e pendiamo dalle sue labbra quando ci racconta, attraverso le parole dell’aristocratica signora Mastellone, la storia di Chiara detta Saigon, troppo intelligente per comportarsi come gli altri bambini, ma anche per non capire, con la sua accentuata sensibilità, la tristezza della sua situazione familiare. Dalla quale la distrae solo l’affettuosa presenza della governante, straniera come lei, e dei suoi nuovi amici: la signora Mastellone e il marito, lo studioso professor Lucchesi. Sono gli appunti di quest’ultimo a fornire a Trevi nuovi spunti di riflessione, in un gioco di rimandi letterari e artistici che lo scrittore condivide con l’anziana vedova, in un rapporto telefonico e simbiotico quasi di madre e figlio.
I capitoli in cui Trevi dà voce alla signora Mastellone, per ascoltare da lei la storia di Chiara, la bambina reale (i momenti più poetici del libro, ed anche i più amati dal lettore) si alternano con i commenti sulla storia della bambina immaginata, Clara. Nel corso della narrazione, entrano in gioco la simbologia pittorica di Salvator Rosa, Orfeo ed Euridice e molte citazioni dotte; appaiono i personaggi di un racconto di Trevi ambientato a Roma e l’amico scrittore che nel loro palazzo ha vissuto. Ma, al di là dei tanti riferimenti, quello che ci calamita è innegabilmente Il Libro di Clara e Riki: un unicum, come unica è la sua autrice; come unica è la signora Mastellone, che scompare alla fine del romanzo, lasciando rimpianti anche nel lettore.
Che, a fine romanzo, si ritrova con un grande interrogativo: questa storia così verosimile sarà poi vera, o è solamente frutto di un’accesa fantasia?
Per toglierci ogni dubbio, l’abbiamo chiesto direttamente all’Autore:
“Nel libro, tutto è vero e tutto è lievemente falsificato. L’unica persona che non esiste è la piccola Chiara Russo, autrice del quaderno, che invece è di mia moglie, Chiara Gamberale. Ma non direi si tratta di finzione, al novanta per cento: le persone e i fatti sono tutti, come si suol dire, realmente accaduti, e hanno continuato ad accadere anche mentre scrivevo il libro, dandomi alla fine un risultato inaspettato anche per me”.
Emanuele Trevi, Il libro della gioia perpetua, Rizzoli, 2010, pp. 276