Corpo celeste

Corpo celeste

In una mattina come tante, una scrittrice non come tanti riceve un invito: si tratta di recarsi in una città del Nord Europa per raccontare a un pubblico, nell’ambito di uno scambio culturale, cosa significa essere scrittori. Anna Maria Ortese accetta con entusiasmo e per l’occasione prepara non una, ma due relazioni. Non avrà modo di usarne nessuna, perché il viaggio scandinavo verrà annullato. La Ortese, allora, riunirà le due relazioni, e tre sue interviste in parte immaginarie, nel piccolo Corpo celeste: volumetto che, edito da Adelphi nel 1997 con la prefazione dell’autrice, e ristampato ogni anno, si propone di essere un testo “forse strano, forse insopportabile, alla fine paradossale”, ma si spera “non inutile”.

Attuale, di sicuro, Corpo celeste lo è, anche se si colloca in un tempo che non è il nostro; ma proprio la distanza ‘siderale’ con un’epoca che ormai non sente più sua permette alla scrittrice un’analisi precisa di ciò che vede accadere, e che la turba. La parola scritta che lentamente sparisce, soppiantata dall’azione, nuovo ‘motore’ della scrittura: e la crescente sensazione che “sia quest’azione a suggerire i libri, o la parola: non il contrario”. Il denaro, unico valore “che tutti riconoscono”. La caducità della fama: “Un attimo brilla il libro con la sua copertina o il nome ritenuto importante: subito scompare”. Il mercato editoriale avaro di soddisfazioni per chi scrive: il commercio di “libri-aspirapolvere”, i testi invenduti passati “in blocco a club o rivenditori vari, con una percentuale, per l’autore, irrisoria”, i guadagni ridicoli (“Ricevi, magari, sedicimila lire e cinquanta centesimi di diritti in un intero anno”). E l’involuzione della lingua italiana: “La grammatica non c’è più. La sintassi è casuale. Il vocabolario è stato invaso e distrutto”. Siamo negli anni Novanta, ma ci sembra d’essere su Internet, oggi: la Ortese (1914-1998) aveva visto lontano.

Di fronte ai dubbi e alle domande che sulla vita dell’Italia ci si pone (siamo un Paese ricco o povero, saggio, europeo?), compito dello scrittore ‘nuovo’ dovrà essere “spiegare, illuminare, parlare, dire a tutti”, il “mistero del mondo”. Che, all’Anna Maria 18enne, appare “una stranezza e una meraviglia quasi non sopportabili”, a meno di non dar loro “una voce ordinata”. Così come la filosofia, per Aristotele, nasce dal thaumazein, lo stupirsi davanti all’inaspettato che affascina e insieme spaventa, l’Ortese scrittrice sembra nascere dal thauma; dalla meraviglia e dallo sgomento che in lei si originano davanti alla realtà, che decide di rappresentare con le parole: “Mi sforzai di raccontare ciò che vedevo”.

Agli occhi ormai disincantati della scrittrice, il mondo, corpo celeste insieme a tutto ciò che contiene, appare una realtà insondabile, ma nello stesso tempo dal destino prevedibile: Greta Thunberg ante litteram, la Ortese sa che non c’è un Pianeta B, e che se continuiamo a non rispettare l’ambiente finiremo con l’annullarne il respiro universale. Così come si è impadronito degli spazi terrestri e celesti per i suoi fini, fino a “distruggere campi e foreste, mutare e pervertire il ritmo delle stagioni; procedere tranquillamente alla reclusione e al massacro di milioni di creature ogni giorno solo per nutrirsi di carne o per indossare pellicce”, l’uomo contemporaneo si appropria della libertà dell’altro per poter usare la propria, codificando “il diritto di forza”.

Tra il genere umano e le creature della Terra, non c’è dubbio, la Ortese preferisce di gran lunga queste ultime, nel vero senso della parola: le forme di vita più piccole e svantaggiate, come la tartarughina ligure per sempre impressa nel ricordo per aver ricambiato il suo sguardo da dietro un vetro. “Amo e venero la Terra! È il mio Dio”, scrive in una delle interviste immaginarie, rivendicando rispetto per ogni essere vivente: “Più uccidiamo e più siamo uccisi. Più degradiamo e più siamo degradati”. Perché il male fatto all’altro¸ prima o poi, si trasforma in “un danno recato a noi stessi”.

Con le sue idee rivoluzionarie per l’epoca, e la spietata critica all’intelligenza (che mira a rovesciare la legge della ragione pur di annientare una vita che “porti una firma non sua”), la Ortese non poteva sperare di sottrarsi all’ostracismo degli ambienti più conservatori – come quello degli scrittori napoletani, offesi dal suo racconto Il silenzio della ragione, in cui criticava le più note personalità facendone nome e cognome. Tuttavia il mondo letterario ha saputo offrirle importanti riconoscimenti, come il Premio Strega per Poveri e semplici, o il Premio Viareggio per Il mare non bagna Napoli, e le innumerevoli pubblicazioni e riedizioni delle sue tante opere. Se fosse nata qualche decennio dopo, la Ortese avrebbe guidato movimenti animalisti, ambientalisti e no global; avrebbe forse rinunciato allo sguardo duro sull’Uomo (sostenuto fino alla fine in Corpo celeste: ascolteremo parole meno severe sull’intelligenza?, si chiede nell’intervista. “Non da me. Non da luoghi di esilio”). E, fatti propri gli obiettivi di Agenda 2030, avrebbe realizzato prima con le parole, e poi con l’azione, l’unità con la Natura tanto desiderata.

Corpo celeste, Anna Maria Ortese, “Piccola Biblioteca Adelphi” n. 389, Adelphi, 1997.