Se amate le parole, e le possibilità che offrono, questo è il libro che fa per voi. L’aspetto straordinario di questo volume di Giuseppe Ferraro, già professore di Filosofia morale all’Università Federico II di Napoli e oggi docente di Filosofia nei luoghi “a rischio” (carceri, scuole, quartieri di periferia), è la cura per i dettagli della lingua. Le parole, per Ferraro, sono strumenti plastici da usare con creatività; in questo, il professore potrebbe riallacciarsi alla Letteratura Potenziale. Apro a caso il volume, p. 53: ” La passione non si può insegnare, ma non si può insegnare senza passione, devi apprenderlo, com’è imparare ad amare e imparare a vivere.” E, qualche riga più sotto: “Qui il tempo non esiste, ma c’è”.
Questo è dunque un libro filosofico per eccellenza, perché costringe il lettore alla riflessione, al pensiero, a interrogarsi. Il tema del volume è racchiuso più nel sottotitolo – La filosofia che nasce a Napoli – che nel titolo: Napoli, città dell’autore, è al centro della narrazione (perché questo è un saggio che narra) ben più della disciplina filosofica. Ferraro, per iniziare a presentarla ai lettori, sceglie due citazioni di Goethe che già ne fanno immaginare la meraviglia, almeno dell’epoca. E poi, parafrasando Wittgenstein, scrive che “Napoli è come io la trovai”. O meglio, come l’ha vissuta dentro (“Le città sono interiori”) e come oggi, attraverso i percorsi legati alla filosofia che l’ha abitata, ce la vuole raccontare.
Iniziamo subito a camminare anche noi, insieme a Giuseppe Ferraro, tra le vie di Posillipo e del Centro Storico, fermandoci a scoprire le tracce lasciate da Epicuro, Virgilio, Seneca, Tommaso d’Aquino, Giordano Bruno, Giambattista Vico, Benedetto Croce. Ma il percorso tra le pagine del libro non è facile: dobbiamo capire che “La pratica della filosofia è vedere quel che manca a quel che c’è perché quel che c’è sia veramente quel che è”. Insomma, leggendo Nostalgia del desiderio non possiamo lasciarci andare a un semplice itinerario storico-filosofico tra le pietre antiche della città, ma dobbiamo pensare. Sempre. Ad ogni frase. E magari rileggerla più volte, perché ad ogni lettura ci si schiuderà un significato nuovo. Impareremo un po’ di filosofia (” L’uomo partecipa della ragione, ma non la possiede”: Vico), ma soprattutto troveremo (o ritroveremo) Napoli, che “è come è sempre stata”, “si può raccontare ma non giudicare. Fa eccezione. È singolare”.
Ferraro ce la racconta attraverso Goethe, Viviani, poi Pino Daniele. Analizza il linguaggio in musica del lazzaro felice e le sfumature del dialetto napoletano, la filosofia del ragù di Eduardo De Filippo, l’ellenismo, in ordine sparso. Parla di amore e di morte, mostrando il suo appassionato amore per una città che, per certi versi, è già un po’ morta. E, con ogni sua parola, traccia un ritratto fedele non tanto della temperie culturale a Napoli attraverso i secoli, quanto della città stessa: luogo di contraddizioni e di fascino, di caos e di sentimenti, di filosofia interiore più che di filosofi finiti sui libri.
Si legge con lentezza questo volume, perché richiede attenzione e riflessione. Finitolo, occorrerebbe tornare indietro e, senza l’assillo del volerne conoscere i contenuti, perché ormai si è percorso fino all’ultima pagina, se ne dovrebbe studiare il linguaggio, studiata opera d’arte. E magari fare propria qualche frase, da usare come citazione. Un paio fra tante: “I sentimenti sono fatti di tempo”; “Anche la passione può avere cura di noi se solo abbiamo cura della passione”.
Giuseppe Ferraro, Nostalgia del desiderio. La filosofia che nasce a Napoli, Castelvecchi, 2019, p.188