La casa di vetro

La casa di vetro

Nella Cecoslovacchia degli anni Trenta, nella città di Mesto, Liesel e Viktor sono una coppia perfetta e felice: sono giovani, benestanti, si amano e condividono un importante progetto: non solo quello di creare una famiglia, ma anche, prima, la costruzione della loro casa. Dovrà essere una dimora straordinaria, che entrerà nella storia dell’architettura: in contrasto con lo stile pesante e ricercato che è invalso fino a quel momento, bando ai colori scuri, ai tendaggi e ai merli in pietra; la casa sarà spaziosa, aerea, trasparente e chiara, in ossequio al modernismo; e a progettarla sarà chiamato il famoso architetto tedesco Rainer von Abt, un genio nel suo campo.

La casa di vetro prende dunque forma sul terreno acquistato e la sua costruzione unisce e impegna i suoi tre artefici, in un triangolo architettonico (il numero tre sarà sempre presente, nelle relazioni del romanzo) che racchiude lo stesso amore per il bello, il nuovo, il moderno. Ed ecco arrivare in casa la poltrona Liesel, ispirata alla sua proprietaria; le pareti scorrevoli a scomparsa in vetro, dietro le quali – da un lato e dall’altro – nulla può essere nascosto; la magnifica parete d’onice purissimo che divide il salone di 240 metri quadri, pavimentato in linoleum bianco, in due zone, ed è fonte di ammirazione per chiunque la guardi. La vita di Liesel e Viktor, terminata la casa, si realizza come i coniugi l’hanno immaginata, tra le visite degli amici (tra cui la seduttiva Hana con il marito Oskar) e la nascita di Ottilie e Martin. Viktor Landauer, proprietario di una fabbrica di automobili di lusso che portano il suo nome, viaggia spesso per lavoro, in un’epoca in cui agli uomini ancora tutto è concesso…

La quieta routine dei Landauer viene però turbata da un evento imprevisto: dalla Germania stanno arrivando venti di guerra, che all’inizio soffiano ancora lontani. Ma quando per gli ebrei la vita sarà diventata impossibile, e i tedeschi avranno invaso la cittadina, l’ebreo Viktor, con la sua famiglia mezzosangue e qualche ospite di troppo, sarà costretto all’esilio. Cosa succederà a Liesel e Viktor e alla loro famiglia, alle persone a cui sono profondamente legati, ai loro amici? La crudeltà della guerra, che non sembra toccarli (perché la ricchezza, in questo caso, salva), è nella separazione; e non sempre, via lettera, ci si riesce a tenere in contatto.

Con La casa di vetro l’inglese Simon Mawer costruisce un’opera letteraria di grande fascino, oltre che di successo (il libro è stato finalista al Booker Prize e se n’è tratto anche un film: The Affair), che cala il lettore nell’atmosfera sospesa antecedente al secondo conflitto mondiale e tratteggia con le parole, in modo straordinario, sentimenti e ambienti. Peccato che il finale sia un po’ troppo ‘a sorpresa’ e lasci il lettore spiazzato, non per gli eventi descritti, ma per la soluzione narrativa scelta dall’autore; e che non tutti i fili vengano ben riannodati. Un lieto fine, sia pur dolceamaro, in fondo c’è. E la Glasraum (casa, o stanza, di vetro) resta per sempre nell’immaginario dei lettori come la dimora dei Landauer, simbolo letterario della vera casa Tugendhat di Mies van der Rohe, anche se attraverso le sue stanze, non più immacolate, passa la Storia.

Simon Mawer, La casa di vetro, Beat, 2023, pagg. 448, ed. originale Neri Pozza 2009.

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