Il grande me

Il grande me
Anna Giurickovic Dato
Fazi Editore, 2020, pp. 240, € 18,00

Il grande me

Questo è un libro che sorprende. Innanzitutto, perché affronta un argomento che porterebbe, di per sé, tristezza (la malattia incurabile, la sofferenza fisica e morale, la morte ‘annunciata’ di un padre), ma lo fa con serenità e leggerezza, in modo che il lettore ami anche lui quella famiglia, ne segua con partecipazione le vicende, ma non soffra. Poi, perché ogni tanto, improvvisamente, la narrazione lascia spazio a emozioni forti, trasgressive, contrastanti con l’atmosfera sospesa della malattia, che parlano in maniera prepotente di vita, di desideri terreni, di necessità di sopravvivere al dolore. Infine, perché Anna Giurickovic Dato è giovane, poco più che trentenne, ma scrive come una grande autrice – ce lo aveva dimostrato, del resto, sin dal suo primo romanzo La figlia femmina.

Il “grande me” del titolo è Simone, il padre di Carla, Laura, Mario: un talento di chitarrista sin da bambino, una carriera politica nella sinistra come senatore, una passione per i libri di storia antica e archeologia, una vita a Milano dopo la separazione dal suo grande amore e il trasferimento dalla Sicilia. E la malattia: perché, in quanto condannato da un male incurabile, in questo periodo finale della sua vita Simone è la malattia: eppure, tutte le sue azioni ruotano intorno alle cure non con la rassegnazione di doversene andare, ma con la certezza di poter guarire; e ogni giorno strappato alla fine non è una conquista momentanea, ma la logica prosecuzione di una vita vissuta da protagonista, che può e deve continuare. Intorno a lui i suoi tre figli, genitori di un padre ancora affettuoso e presente, che gli ricorda però, con il suo inesorabile decadimento fisico, che l’esistenza ha un termine e va vissuta il meglio possibile.

E così la vivono Carla, Laura, Mario, nel tempo immobile della malattia: la vivono godendo della loro fratellanza e del loro calore fisico, dei momenti in cui Simone torna a essere il papà di un tempo, dei suoi ricordi trovati o raccontati, dei suoi non detti, dubbi e misteri, uno dei quali destinato a trovare risposta nel corso della storia. Vivono gli ultimi giorni di Simone tra l’ospedale e il suo appartamento di Milano, in un volontario lockdown che gli permette di riappropriarsi del padre perduto, di offrirgli cura e amore, perché è con quella cura e quell’amore per lui che curano e amano se stessi.

Tra accettazione, speranza e realtà Simone scivola via dal mondo leggero, lasciando ai suoi cari un compito difficile: quello di tornare a riappropriarsi della propria quotidianità e di imparare a (ri)conoscere quel grande me che è ogni genitore per i suoi figli.