Il giudice Surra, surra come un’erba maligna che non riesci a estirpare, è un’uomo tutto d’un pezzo. E, quando dal Piemonte viene trasferito nel paesino siciliano di Montelusa, di lui si capisce ben presto che non si farà intimorire da nessuno: men che meno dai potentati locali. Il giudice Surra, racconto centrale di questo bel trittico di Andrea Camilleri, dà il nome a tutto il libro, forse perché, dei personaggi dei tre racconti, è quello che ricorderemo di più. Magari perché ci ha fatto sorridere: mentre, intorno a lui, la mafia locale si affaccenda per rendergli la vita difficile, lui nemmeno sembra accorgersene (e qui Camilleri dà il meglio della sua garbata ironia), ma poi mette tutti in ginocchio.
Se Surra ci diverte, il dramma di Bruno Costa, tecnico dei telefoni che, per una serie di equivoci, si trova suo malgrado coinvolto in un crimine efferato, ci fa palpitare: ritroviamo qui il Camilleri sceneggiatore e regista, che, come in un film – il racconto fu effettivamente scritto per essere trasposto in tv, su idea di Carlo Lucarelli e Giancarlo De Cataldo – fa vivere ai suoi protagonisti emozioni e drammi con la stessa intensità. Troppi equivoci per il povero Bruno, ma anche, nell’ultimo racconto, per il vedovo Ciccino Barbaro, che, ne Il medaglione, si ritrova a piangere la moglie appena scomparsa e contemporaneamente a ritenersi curnuto. A risolvere tutto, ma proprio tutto, penserà il maresciallo del paesino.
Sono tre racconti splendidi, questi che Sellerio ripubblica in raccolta; già editi da Einaudi e da Mondadori, meritano di essere collezionati qui, con la prefazione di De Cataldo che racconta i retroscena della scrittura e ci rivela un Camilleri che tutti noi scrittori vorremmo essere: «So come lo scriverò perché già lo vedo. È il mio modo di procedere. Quando devo scrivere, subentra una forma di razionalità che prende la forma di una sorta di metronomo interiore. Un regolatore di ritmo che mi fa vedere in anticipo come sarà la storia che ho in mente, e quando sarà pronta.»