Womenomics


Womenomics
Claire Shipman e Katty Kay
Cairo Editore, 2010
Pagg. 300, € 14,50

Si sa che di puri sogni non si vive, eppure la possibilità di riuscire ad ottenere un lavoro part time quando se ne ha bisogno, in Italia più che a un sogno somiglia a una chimera.
Per un qualche misterioso motivo i lavoratori part time non piacciono e, spesso, sono anche discriminati.
Eppure, esiste forse un modo migliore per conciliare lavoro e vita familiare? Lavoro ed interessi personali?

E’ partendo da questa domanda e dall’assurdo ostracismo che ancora oggi riceve il lavoro part time, che ho letto con vivo interesse il libro di Claire Shipman e Katty Kay, Womenomics, dedicato al lavoro secondo le donne.
C’è sicuramente da considerare il fatto che l’Italia non è l’America e che il libro è ambientato in una realtà molto diversa dalla nostra. Nonostante ciò la proposta delle due giornaliste è secondo me interessante.

Immaginiamoci una giornata in cui, delle 24 ore che abbiamo a disposizione, “solo” 4 o 6 sono dedicate al lavoro: dedicate seriamente, con zelo e senza il costante pensiero di “far passare il tempo”. Così, anche se siete una manager, potete ricoprire il vostro ruolo senza lavorare 10 ore al giorno ed essere reperibili nei fine settimana.
Di sicuro per la maggior parte di noi donne è un’utopia (già il fatto di trovare un lavoro viene considerato un miracolo in alcuni casi!) eppure ciò che ci separa da quella realtà immaginata è molto meno di quanto si potrebbe pensare: nient’altro che un modo di pensare antiquato e la paura nei confronti dei cambiamenti.

Il problema fondamentale di una società come la nostra è l’idea che per essere qualunque cosa si debba prima di tutto apparire: sono capace di produrre solo se lavoro tanto. Più lavoro e più produco. Più produco e più guadagno. Più guadagno e più… sono importante. Ma è davvero così?
Per una mentalità che considera equivalenti successo, competitività e ambizione, non ci sono dubbi eppure, come dimostrano le due autrici attraverso storie e dati raccolti durante le loro indagini, il successo è qualcosa di molto più sfaccettato e la produttività non viene garantita dalle ore passate in ufficio.

La tesi su cui si fonda il libro è che si possa ragionevolmente accorciare l’orario di lavoro senza perderne in produttività, al contrario, aumentandola.
Un orario di lavoro più corto ci permetterebbe di stare di più con la nostra famiglia, i figli, il partner, gli amici, di coltivare vecchi e nuovi interessi, di trovare un equilibrio a una vita che, per come viene concepita ora, non ne ha.

Il titolo del libro è un mix tra “women” (donne) ed “economics” (economia) in quanto le due autrici partono dal presupposto che sono proprio le donne, più degli uomini, a sentire il bisogno di trovare un equilibrio tra lavoro (che consente indipendenza economica e realizzazione personale) e vita privata.
La chiave di volta, affermano, è il cambiamento di una mentalità che, ora, si basa e valorizza esclusivamente i tratti maschili del successo, svalutando se non negando quelli femminili.

È un libro che si legge bene, scorre senza intoppi e offre spunti interessanti su cui riflettere anche se, obiettivamente, poco applicabili nella realtà aziendale italiana (spesso guidata da giovani-vecchi felici di sposare filosofie arcaiche e non scatenare alcuna rivoluzione).
In Italia sentiamo sempre più spesso dire che “stiamo tornando indietro, invece di andare avanti”, per questo ritengo che idee come quella promossa da questo libro siano molto interessanti: mostrano una prospettiva diversa e innescano nelle persone, donne e uomini, il tarlo del cambiamento, di un possibile nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata.
Perché, alla fin fine, un’utopia non è qualcosa di irrealizzabile, bensì una realtà che ha semplicemente bisogno di un luogo per esprimersi. E di qualcuno abbastanza coraggioso per concederglielo. Saremo forse noi donne? Chissà… il tempo farà da testimone.